Il paradosso dei prestiti gratis di Franco Debenedetti 28 dicembre 2011 L'inizio sembrava un pranzo gratis, la fine potrebbe essere un imprevisto paradosso. Pranzo gratis quello delle banche che prendono a prestito dalla Bce liquidità al tasso dell'1%, comperano titoli di Stato al 6% che dànno come collateral alla Bce, lucrando la differenza di rendimento. C'è moral hazard, né può essere diversamente: i titoli restano sui bilanci della banca, e quindi anche il rischio di default; ma, come osserva il Financial Times, le grandi banche di un Paese che fa default falliscono comunque. In ogni caso, la European Banking Authority, diversamente dalla Bce che calcola al valore nominale i titoli dati come collateral, ha deciso che i regolatori nazionali chiedano alle banche di costituire un cuscinetto a copertura del minor valore dei titoli di debito pubblico, e nello stress test in corso e in quello previsto per l'autunno vàluta a fair value il debito sovrano all'attivo delle banche: fine del pasto gratis. Le banche piccole non dovrebbero avere problemi a usufruire della liquidità per fare maggiori prestiti a famiglie e imprese: hanno mediamente buoni rapporti capitale/impieghi, possono offrire alla Bce come collateral attivi prima esclusi, sono poco investite in debito pubblico e comunque non devono sottostare agli stress test. Invece la maggior parte delle grandi banche dovrebbero comunque aumentare il proprio capitale; avendo molto debito sovrano nel loro attivo, dovranno ulteriormente aumentarlo per effetto dei nuovi criteri dell'Eba. La liquidità della Bce consentirebbe operazioni allettanti, ma non senza rischi: ad esempio le banche lucrerebbero un grosso guadagno ricomprando le proprie obbligazioni in circolazione, che oggi quotano molto sotto il valore nominale; sempre che fra tre anni, quando dovranno restituire il prestito alla Bce, il mercato sia liquido. I tassi dei bond decennali di Stati Uniti, Regno Unito, Germania sono intorno al 2%, e quelli del Giappone sono addirittura all'1%: il rischio che i mercati valutano è la deflazione. Quelli di Italia e Spagna sono intorno al 6%: il rischio che i mercati valutano è il default. Eppure i dati di finanza pubblica non sono così diversi: il Giappone ha un debito pubblico più alto dell'Italia, il deficit del Regno Unito è un multiplo del nostro. Ma gli speculatori, cioè i mercati, non si sognano di scommettere sul default di quei Paesi: perché ognuno di essi ha una banca centrale che se necessario potrebbe stampare dollari o sterline o yen necessari ad evitarlo. La situazione dei Paesi dell'Eurozona è invece simile a quella dei Paesi che si finanziano in una valuta straniera: se i capitali stranieri si ritirano (come nei paesi asiatici nel 1997/98), se la loro valuta si svaluta rispetto al dollaro (come l'Argentina nel 2001), non possono contare su una Fed che presti i dollari necessari per far fronte ai propri impegni. I Paesi dell'euro, se il mercato chiede interessi elevati per comperare il loro debito, non possono contare sulla Bce: questa per statuto non può essere prestatore di ultima istanza, i Paesi fondatori dell'euro hanno voluto la politica monetaria del tutto indipendente da quella di bilancio. Si può immaginare anche un esito paradossale. Il debito pubblico del proprio Paese è sovrarappresentato negli attivi di tutte le grandi banche: se c'è scarto tra valore di acquisto e valore di mercato dei nostri BoT, le nostre banche soffriranno di più, ma quelle straniere cercheranno di disfarsene. Se nessun operatore straniero si presentasse alle aste del Tesoro, sarebbe irresistibile la pressione sulle banche italiane perché sottoscrivano. Progressivamente tutto il nostro debito pubblico, oggi per quasi metà in mano straniera, finirebbe per essere detenuto da cittadini italiani, come in Giappone. A quel punto, le banche italiane non potrebbero sottrarsi alla moral suasion di sottoscrivere a tassi "ragionevoli".La nostra capacità negoziale con i partner europei andrebbe a picco: ma crollerebbe pure il pilastro su cui è costruito l'euro. Doveva essere la moneta di un'area di libera circolazione dei capitali, difesa da una banca centrale rigorosamente indipendente dal potere politico; si finirebbe in un mercato finanziario frammentato in mercati nazionali, con banche obbedienti alla volontà dei Governi. Per non avere un Lender of Last Resort europeo indipendente, si potrebbe finire con tanti piccoli lender nazionali obbedienti . Fonte:
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AaOvYVYE Importante questo articolo, perché sottolinea come in realtà la scappatoia per agire in altro modo ci sarebbe, ma non viene praticata per precisa volontà politica, anche se non evidenzia il fatto che sarebbe comunque il Govreno ad andare dai banchieri con il cappello in mano; questi ultimi avrebbero - nel caso ipotizzato nell'articolo - meno libertà di decisione politica in merito alla gestione del credito, ma lo farebbero per salvare il LORO PAESE ( un fantasma giuridico può avere mai un Paese di appartenenza?).
Il paradosso è proprio qui: la banca commerciale riesce a svincolarsi da questo potenziale
cul de sac attraverso la pressione lobbistica esercitata facendo cartello con le consorelle, facendo pressione istituzionale con la BCE, inserendo "propri" uomini all'interno delle istituzioni.
E' l'ideologia del debito che impedisce che si crei la situazione prospettata nell'articolo, che in questo senso pecca d'ingenuità: il salto quantico è stato fatto e non si torna indietro, a meno di imprevedibili risvolti politici di qualche singolo Paese.
Per inciso: farebbe felici quelli della Modern Money Theory questa scappatoia, ma comunque non risolverebbe il punto centrale:
il fatto che la moneta dovrebbe nascere libera dal debito e gestita come una istituzione al servizio della comunità.
Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì. I quali si chiederanno cosa non viene apprezzato del loro ottimismo.Ennio Flaiano