Banche

Questa sezione accoglie discussioni e segnalazioni su articoli usciti dai vari mezzi di informazione

Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 04/07/2012, 14:22

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-06-22/predatori-professori-120210.shtml?uuid=Ab47GSwF

finché lo si deduce, ma quando ce lo dicono loro...
Predatori e Professori
di Simon Johnson, 22 giugno 2012

WASHINGTON, DC – Le grandi università americane sono ancora le vigorose custodi della conoscenza, le forze principali del progresso tecnologico, il luogo delle opportunità che erano una volta? O sono diventate, in parte, le complici senza scrupoli di elite economiche sempre più rapaci?

Verso la fine del suo documentario, Inside Job, vincitore del Academy Award, Charles Ferguson intervista diversi economisti di spicco riguardo al ruolo da loro svolto in qualità di cheerleader retribuite delle pratiche disoneste ed eccessivamente rischiose del settore finanziario, nel periodo precedente la crisi del 2008. Alcuni di questi eminenti accademici hanno ricevuto ingenti somme di denaro per promuovere gli interessi delle grandi banche e delle altre imprese del settore. Come Ferguson documenta nel filmato e nel suo recente libro, Nazione Predatrice, che fa riflettere, ancora oggi molti di quei compensi non sono stati del tutto scoperti.

Il termine predare è del tutto appropriato per le attività di queste banche. Dato che il loro fallimento potrebbe sconvolgere il resto dell’economia, ricevono forme di protezione esclusive – ad esempio, linee di credito speciali da parte delle banche centrali e regolamentazioni disinvolte (misure previste o annunciate in questi giorni negli Stati Uniti, nel Regno Unito, e in Svizzera).

Come conseguenza, le persone che gestiscono queste banche sono incoraggiate ad assumersi il rischio di molte scommesse azzardate, che includono attività proprio simili a quelle del gioco d’azzardo. I banchieri ne prendono i vantaggi quando le cose vanno bene, mentre gli esiti negativi sono, in gran parte, un problema di qualcun altro. In ultima analisi, si tratta di un regime di sovvenzioni statali non trasparente e pericoloso, che comporta trasferimenti di grandi dimensioni dai contribuenti verso poche persone al vertice del settore finanziario.

Per proteggere la sopravvivenza del sistema, le megabanche globali elargiscono ai politici ingenti somme di denaro. Per esempio, Jamie Dimon, amministratore delegato della JPMorgan Chase, ha testimoniato di recente alla commissione bancaria del Senato americano riguardo all’apparente crollo della gestione del rischio che ha inflitto alla sua compagnia una perdita stimata intorno ai 7 miliardi di dollari. La OpenSecrets.org ha stimato che, nel 2011, la JPMorgan Chase, la più grande holding bancaria degli Stati Uniti, ha speso quasi 8 milioni di dollari per contributi politici, e che Dimon e la sua compagnia hanno dato contributi alla maggior parte dei senatori del comitato. Non sorprende che le domande dei senatori siano state oltremodo gentili e che la strategia di lobbying piuttosto ampia della JPMorgan Chase sembra dare i primi frutti; le indagini su un sistema di cattiva gestione, irresponsabile e pericoloso, finiranno molto probabilmente insabbiate.

A sostegno della loro strategia politica, le megabanche globali mettono in atto anche una sofisticata operazione di disinformazione/propaganda, con l’obiettivo di creare almeno una patina di rispettabilità per i sussidi che ricevono. È a questo punto che le università entrano in scena.

Recentemente, ad un incontro della Commodity Futures Trading Commission (CFTC), il rappresentante del settore bancario, seduto vicino a me, ha citato un articolo di un eminente professore di finanza dell’Università di Stanford, a sostegno della sua posizione contro una particolare regolamentazione. Il banchiere ha trascurato di menzionare che il professore è stato pagato 50 mila dollari per l’articolo dalla Securities Industry and Financial Markets Association, SIFMA, un gruppo lobbistico. (Il professore, Darrell Duffie, ha divilgato l’entità di tale compenso, e lo ha dato in beneficienza.)

Perché dovremmo prendere sul serio tale lavoro –o più seriamente di altri lavori di consulenza a pagamento a cura, per esempio, di uno studio legale o di qualcun altro che lavora per l’industria?

La risposta probabilmente è che l’Università di Stanford è molto prestigiosa. Come istituzione ha fatto grandi cose. Ed il suo corpo insegnante è uno dei migliori al mondo. Quando un professore scrive un articolo per un gruppo industriale, l’industria beneficia del nome e della reputazione dell’università –che, in un certo senso, noleggia. Naturalmente, all’incontro della CFTC, il banchiere ha messo l’accento su Stanford quando ha citato l’articolo. (Non critico quella particolare università, infatti, altri membri della facoltà, tra cui Anat Admati, sono in prima linea nello spingere verso una riforma sensata.)

Ferguson ritiene che questa forma di consulenza accademica sia generalmente fuori controllo. Sono d’accordo, ma sarà difficile controllarla fin quando le università e le banche troppo grandi per fallire rimangono così intrecciate.

A questo proposito, recentemente sono rimasto deluso nel leggere sul Wall Street Journal un’intervista con Lee Bollinger, Presidente della Columbia University. Bollinger è direttore di classe C della Federal Reserve Bank di New York – nominato dal Board of Governors del Sistema Federale quale rappresentante dell’interesse pubblico.

In quella che sembrava la sua prima intervista o la sua prima dichiarazione pubblica in materia di riforma bancaria (o anche riguardo a questioni finanziarie), ciò che Bollinger ha principalmente sostenuto è che Dimon dovrebbe continuare a far parte del consiglio della Fed di New York. Ha usato un linguaggio sorprendentemente non accademico – affermando che i folliche suggeriscono le dimissioni o la sostituzione di Dimon hanno una falsa visione di come il sistema funziona davvero.

Al momento, ho presentato al Board of Governors una petizione per la rimozione di Dimon dalla sua carica. Circa 37 mila persone hanno sottoscritto la petizione (), e ho buone speranze di potere presto incontrare gli alti funzionari dell’Ufficio di Washington DC per discutere la questione.

L’intervento di Bollinger si può rivelare utile per Dimon; dopotutto, la Columbia University è una delle università più prestigiose del mondo. D’altra parte, potrebbe rivelarsi utile nel far avanzare il dibattito pubblico riguardo alle modalità con cui i banchieri troppo grandi per fallire sostengono le loro tacite sovvenzioni

Ho scritto una confutazione dettagliata della posizione di Bollinger (). Mi auguro che Bollinger, in uno spirito di aperto dialogo accademico, risponda in qualche modo pubblicamente –sia per iscritto o accettando di discutere il problema con me di persona. Abbiamo bisogno di un confronto di alto profilo su come riformare l’insana relazione tra le università e le istituzioni finanziarie globali sovvenzionate, come la as JPMorgan Chase.
...se vuoi ottenere qualcosa di diverso devi cominciare ad agire diversamente.
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Re: Banche

Messaggioda domenico.damico » 05/07/2012, 8:58

Come la speculazione ricade sui «costi» della vita di tutti i giorni

di Morya Longo

L'eventualità che la Gran Bretagna indica un referendum per decidere se uscire o restare nell'Unione europea, ventilata qualche giorno fa dal premier David Cameron, è forse un bluff. Fa forse parte della trattativa politica. Ma, in ogni caso, denuncia il noto malessere anglosassone. Che cresce anche perché le regole allo studio in Europa per contrastare la speculazione non piacciono Oltremanica: andrebbero infatti a sfavorire le banche inglesi. Andrebbero a imbrigliare la grande finanza. Eppure è ancora oggi proprio la finanza, con le sue mastodontiche proporzioni e la sua assenza di regole efficaci, a influenzare gli eventi e ad alterare il mondo reale: lo dimostra lo scandalo del tasso Libor manipolato, ma anche le dinamiche sui titoli di Stato, sui derivati, sulle Borse. Un po' più di regole, insomma, non farebbero male al mondo reale. Altrimenti sarà sempre la finanza, avvolta nell'opacità, il grande burattinaio del mondo. Come lo è da anni.

Il mutuo alterato Lo scandalo del Libor lo dimostra. Il tasso è determinato ogni giorno in base alle segnalazioni che fanno 16 banche all'Associazione bancaria inglese. Ebbene: se le segnalazioni sono state manipolate, anche i tassi di tanti mutui, prestiti o titoli sono stati artefatti. Bene inteso: questo non necessariamente è stato svantaggioso per chi ha un mutuo ancorato al tasso Libor (equivalente in Inghilterra all'Euribor). Il sospetto è anzi che alcune banche abbiano comunicato all'Associazione tassi troppo bassi, avvantaggiando dunque chi ha un mutuo. Ma questo cambia poco: la presunta manipolazione del Libor ha comunque "drogato" circa 800 miliardi di dollari di prestiti, mutui e titoli. A vantaggio (ingiusto) di alcuni, a svantaggio (ingiusto) di altri. Per non parlare delle banche: dichiarando tassi falsati, hanno influenzato a loro piacimento tutta la loro attività.

I derivati e i debiti statali Anche i derivati possono cambiare la vita di tutti i giorni: con la loro stazza di 647mila miliardi di dollari (calcolava la Bri a fine 2011), il loro valore è 14 volte più grande del Pil del mondo intero. Ovvio che, con queste dimensioni, possano determinare gli eventi. Prendiamo, ad esempio, i credit default swap (cds): speciali polizze assicurative che servono agli investitori per coprirsi dal rischio di insolvenza di qualunque Stato o impresa. Dato che il costo della polizza varia a seconda della rischiosità di ogni Stato o azienda, quando il costo dei Cds sale lancia l'allarme rosso sui mercati e fa salire il costo effettivo del debito dello Stato o dell'azienda in questione. Si dirà: è il mercato a decidere se il costo del Cds sale o scende. Vero, ma il mercato è in gran parte in mano alle prime quattro banche Usa che da sole detengono 212mila miliardi di derivati. Ovvia la domanda: queste banche (o altre) sarebbero in grado di manipolare il mercato dei Cds, influenzando a loro piacimento il costo del debito di Stati o aziende?

Sugli Stati grandi, Italia inclusa, questo è forse difficile. Ma su Stati piccoli, come la Grecia, non lo si può escludere. Anzi: sul mercato si racconta che ad inguaiare Atene sia stata anche (non solo, ovvio) la speculazione sui Cds greci. Possibile che qualcuno abbia mosso quelli (che essendo illiquidi non necessitavano di grandi somme), alterando il costo del debito della Grecia e peggiorandone la crisi? Lo stesso discorso si può fare sulle aziende, che molto spesso hanno più Cds (cioè polizze sul debito) che debiti. Un esempio a caso: la catena di supermercati Carrefour ha 17,6 miliardi di euro di debiti sul mercato, ma 26 miliardi di polizze Cds. Questo, in un mercato opaco, può fomentare la speculazione? Può cambiare la vita di aziende o Stati? Nessuno può veramente saperlo.

Finanza malata Ma i casi con cui la finanza ha alterato la vita di tutti i giorni sono molteplici. Prendiamo le obbligazioni "salsiccia", chiamate Cdo, nelle quali un tempo le banche infilavano mutui Usa e titoli tossici prima di rivenderle a ignari clienti. Ebbene: i Cdo hanno messo nei guai intere città in Norvegia. Hanno fatto perdere tutti i soldi (poi recuperati con una transazione) a un convento di frati in Italia. A molti investitori. Per non parlare degli Etf, strumenti che replicano indici spesso a leva: da tempo le autorità hanno messo gli occhi su questi strumenti. Come un grande cavallo di Troia, la finanza penetra dentro la vita di tutti i giorni indiscreta. Lasciando poche tracce. Ma, potenzialmente, tanti danni.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... fromSearch
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Re: Banche

Messaggioda ChristianTambasco » 30/07/2012, 8:59

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-07-19/crisi-legittimita-finanza-184808.shtml?uuid=AbIUJ99F


La crisi di legittimità della finanza

di Simon Johnson, 19 luglio 2012

WASHINGTON – La recente uscita di scena di Robert Diamond dalla Barclays segna uno spartiacque. Senza dubbio, altri Amministratori Delegati di banche importanti sono stati estromessi in passato, come Chuck Price che ha perso il suo posto alla Citigroup per aver corso dei rischi eccessivi nel periodo che ha portato poi alla crisi finanziaria del 2008, o, più recentemente, Oswald Grübel della UBS che è stato fatto fuori per non aver evitato un’operazione finanziaria non autorizzata del calibro di 2,3 miliardi di dollari.

Ma Diamond sembrava avere la situazione sotto controllo. La Barclays aveva infatti superato la crisi del 2008-2009 senza l’ausilio dell’aiuto del governo e, nonostante le recenti notizie di violazioni delle regole anche in relazione ai prodotti per i consumatori ed ai tassi di interesse, Diamond era comunque riuscito a prendere le distanze dai danni provocati.

Secondo la stampa, i regolatori erano disposti a concedere a Diamond un lasciapassare proprio quando si è invece verificato un grave contraccolpo politico. In seguito all’accusa di Diamond nei confronti della Bank of England, l’Amministratore Delegato della Barclays è stato infatti costretto a dimettersi.

Ci sono tre lezioni importanti da imparare dalla caduta di Diamond alla Barclays.

Innanzitutto, il contraccolpo politico non è arrivato da parlamentari o da osservatori poco informati ai margini della corrente principale. Sono state infatti le personalità politiche di tutti i partiti del Regno Unito a condannare all’unanimità la condotta della Barclays, in particolar modo in relazione alla manipolazione sistemica dei tassi di interesse, emersa in seno allo scandalo Libor. (Il London Interbank Offered Rate è un tasso chiave di riferimento per i prestiti interbancari a livello mondiale e per il prezzo dei derivativi).

Il Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha poi dichiarato che se si considera la frode come un crimine nel business ordinario, allora si dovrebbe applicarlo anche al sistema bancario, implicando che la condotta della Barclays rientrerebbe nel reato di frode; una grave accusa da parte del Ministro delle Finanze britannico.

Dopo cinque anni di scandali su larga scala nel settore finanziario, la pazienza si sta assottigliando. Come sostiene Eduardo Porter nel New York Times:

Mercati più ampi danno la possibilità di fare frodi più grandi. Le grandi aziende con bilanci complessi hanno più possibilità di nascondere gli imbrogli. E le banche, una volta diventate abbastanza grandi da evitare il fallimento, sono ancor più incentivate a farlo.

In secondo luogo, Diamond pensava evidentemente di poter sfidare l’establishment britannico. Il suo personale ha infatti divulgato i contenuti di una conversazione che avrebbe in teoria avuto con Paul Tucker, funzionario senior della Bank of England, nella quale la stessa Bank of England avrebbe suggerito alla Barclays di manipolare i tassi di interesse.

Probabilmente Diamond si è scordato che il bilancio di qualsiasi banca abbastanza grande rispetto all’economia del paese (e la sua capacità di creare profitto per i suoi azionisti) dipende interamente dal mantenimento di un buon rapporto con i regolatori. La Barclays ha beni complessivi per un valore di 2,5 trilioni di dollari (pari, più o meno, al volume del PIL annuale britannico) ed è la quinta o ottava banca più grande a livello mondiale a seconda di come vengono misurati i bilanci. Le banche di questa entità hanno il vantaggio di poter beneficiare di garanzie statali implicite, ecco perché vengono chiamate troppo grandi per fallire.

Diamond ha evidentemente creduto troppo nella sua retorica, ovvero nel fatto che sia lui che la sua banca fossero fondamentali per la prosperità del Regno Unito. I regolatori hanno invece scoperto il suo gioco e l’hanno costretto a dimettersi. Alla notizia, il valore delle azioni quotate della Barclays sono leggermente aumentate.

L’ultima lezione è che la resa dei conti tra democrazie e grandi banchieri deve ancora venire sia negli Stati Uniti che nell’Europa continentale. In apparenza le banche mantengono il loro potere, ma in fondo la loro legittimità continua a sgretolarsi.

Jamie Dimon, Amministratore Delegato della JP Morgan Chase, ha presieduto operazioni finanziarie con un rischio sconsiderato del valore di circa 6 miliardi di dollari (lo potremmo chiamare una sconfitta di tre Grübel), tuttavia il suo posto rimane apparentemente sicuro. Dimon, d’altra parte, continua ad essere membro del consiglio della Federal Reserve di New York sebbene la stessa Federal Reserve sia coinvolta nell’indagine non solo delle perdite delle operazioni finanziarie della JP Morgan Chase, ma anche per un potenziale coinvolgimento nello scandalo Libor.

Come documentato da , presidente di Better Markets, in una recente testimonianza congressuale due anni dopo l’approvazione della legge Dodd Frank, il sistema bancario continua a portare avanti un’azione di contrasto tenace, ed efficace, al fine di indebolire quest’importante riforma. (La testimonianza di Kelleher è un’analisi da leggere assolutamente, proprio come la sua dichiarazione di apertura della seduta).

Ciò nonostante, si stanno comunque facendo dei progressi. Dimon è il volto pubblico della resistenza alla riforma da parte delle megabanche, e le sue continue gaffe pubbliche rafforzano il pensiero di chi desidera limitare i rischi eccessivi e irresponsabili delle banche.

Nel frattempo, la situazione in Europa è ormai esplosiva. L’approccio dell’Unione europea alla regolamentazione bancaria ha incoraggiato gli istituti finanziari a gravare sul debito pubblico, presumibilmente un bene privo di rischi. Ora, vista la profonda crisi del debito sovrano nei paesi periferici dell’eurozona, i default dei governi minacciano di destabilizzare le grandi banche. La Banca Centrale Europea ha già elargito una grande quantità di liquidità d’emergenza alle banche che l’hanno a loro volta utilizzata per acquistare altro debito pubblico. Ma sebbene un contesto simile riesca, nel breve termine, a mantenere bassi i tassi di interesse sul debito stesso, implica in realtà delle perdite potenziali persino più ampie in caso di un’eventuale default.

Le banche e la politica sono strettamente legate in tutte le economie avanzate. Diamond ha scoperto che, alla fine, i politici vincono sui banchieri, almeno nel Regno Unito.

Ma quello che conta veramente è la legittimità e l’opinione pubblica informata. Credete veramente che le megabanche, nella forma in cui sono istituite attualmente, siano necessarie al settore privato e quindi alla crescita economica e all’occupazione? O iniziate a prendere in considerazione più seriamente il pensiero sempre più diffuso che le megabanche globali, ed i loro leader, siano semplicemente diventate troppo potenti e pericolose?
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Guerra fra banche centrali?

Messaggioda domenico.damico » 28/09/2012, 15:44


Banche centrali in guerra. Vince chi svaluta di più. Ecco perché il dollaro è così basso e perché altre valute (come il peso messicano) potrebbero balzare

Alla domanda se le banche centrali del mondo sono in guerra la risposta è sì. Una guerra a chi svaluta di più la rispettiva valuta per potenziare la crescita economica con il traino delle esportazioni. L'ultima battaglia di questa guerra sembra averla vinta, senze mezze misure, il dollaro. Da quando si sono intensificate (in estate) le aspettative su un nuovo quantitative easing (iniezione di liquidità con moneta stampata nuova di zecca) da parte della Federal Reserve, il dollaro ha perso terreno sulle altre principali valute. Basti pensare che oggi 1 euro vale 1,29 quando a luglio per acquistare quello stesso euro ce ne volevano 1,22 dollari. Da inizio anno il dollaro si è...


di Vito Lops - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/110Mrl
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NUOVA (sontuosa) SEDE UNICREDIT

Messaggioda domenico.damico » 18/12/2012, 16:15

In queste foto la nuova sede di Unicredit a Milano...

che avranno fatto... un mutuo?

Non è uno scherzo, è una domanda seria.
Secondo voi cosa conviene a una banca?
Spendere i soldi in cassa (se ne ha) o chiedere un mutuo a un'altra banca oppure ancora sparare un'obbligazione apposita?

http://foto.ilsole24ore.com/Casa24/merc ... .php?id=27
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BANKITALIA vs IOR

Messaggioda domenico.damico » 09/01/2013, 16:05

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CONTANTI E BANCHE

Messaggioda domenico.damico » 21/03/2013, 12:47

Banche e vampiri

Sorpresa allo sportello: se vuoi prelevare più di 2.500 euro devi prenotare. Gli istituti bancari decidono in autonomia le regole interne per il ritiro di contanti

Filiale qualunque, di una banca qualunque, tra qualche giorno. Un cliente qualunque arriva allo sportello, accartoccia il numeretto di prenotazione della fila (quello che si usa anche alle Poste e, ormai, dal salumiere e al supermercato) e si rivolge educatamente al cassiere di turno (uno solo perché tutto il resto del personale è impegnato a promuovere investimenti che il piu’ delle volte si riveleranno dei bidoni): "Buongiorno - dice il cliente qualunque - vorrei prelevare dal mio conto 3000 euro".
“Buongiorno a Lei – risponde il cassiere. - Non può”.
"Perché? Guardi che il mio conto è ampiamente coperto! E poi sono anni che ai primi di ogni mese vengo in banca per fare un prelievo di questa entità".
"Appunto. Da oggi non si può più. Mi deve avvisare con una telefonata almeno due giorni prima. Prelievi così importanti non sono più consentiti".
"Eppure – osserva pensieroso il cliente - non ho letto nulla sui giornali. Certo che questa stretta di governo e Guardia di Finanza sui movimenti di contanti sta diventando ossessiva. So benissimo che non posso fare pagamenti cash oltre i mille euro. Ma, pur rispettando la regola, la mia colf vuole contanti, i miei figli vogliono contanti, mia moglie vuole contanti per spese sia di casa che voluttuarie".
"No, no – dice impacciato il cassiere-. "La GdF o il governo non c’entrano nulla. E’ una disposizione interna". "Interna?" "Sì da oggi gli sportelli delle banche, di tutte le banche, possono consegnare importi superiori a 2.500 euro solo a chi li ha prenotati". "Mi scusi, mi faccia capire – replica il cliente colpito da tanto ardire- Io ho un conto qui da vent’anni. Circa 30 mila euro. Sono soldi miei, guadagnati onestamente ed accreditati tramite banca. Non c’è nessun rosso (e, se è per questo, niente nemmeno in nero ). E lei non mi vuole dare i miei soldi? E perché?"
Il cassiere – sempre più impacciato: - Sa, sostiene la direzione generale – tutte le direzioni generali - che il vecchio sistema di prelievo per assecondare le richieste più disparate, ci costringeva a tenere a disposizione una gran massa di denaro liquido. Cosa che ci costava troppo". "Ah sì? Perché il mio conto qui me lo gestite gratuitamente? Gli assegni me li regalate? I bonifici che ormai sono costretto a fare per ogni pagamento o il mutuo, sono gratis? Se muovo qualche azione o obbligazione voi non ci prendete nemmeno una lira, pardon un euro? E i costi del Bancomat, delle carte di credito, le domiciliazioni bancarie, gli estratti conto (che arrivano sempre due mesi dopo l’emissione…) è tutta roba che mi regalate?" "Non no, ha ragione, ma anche noi abbiamo le nostre spese…"
Al che il nostro cliente qualunque sbotta: "Ogni volta che vengo in filiale mi fate la posta per vendermi qualche fondo, qualche azione, bot o obbligazioni! Vi ho chiarito mille volte che non mi interessano, ma voi, testardi, ogni volta insistete. Quando poi non riuscite a piazzarli chiedete aiuto allo stato, all’Europa, a Bankitalia e sa il cielo a chi altro ancora. Qualcuno che vi dà retta lo trovate sempre. E vi arrivano miliardi sonanti (la Bce ve li avrà dati almeno due o tre volte!) con l’intesa che voi li rimettiate in circolo per finanziare la ripresa!! Invece ve li tenete in cassa e alzate i costi dei mutui alle stelle. Ora non volete ridarmi nemmeno i miei soldi: Ma siete banche o usurai?"
Il cassiere, gli occhi sbarrati, suda freddo e allarga sconsolato le braccia: Mi spiace, sono solo il cassiere. Appunto, e io sono solo il cliente – dice il nostro cliente qualunque che gira i tacchi e se ne va-. In fila dietro di lui una decina di altri clienti qualunque. Per il cassiere si prospetta una giornata infernale. NB: questa surreale scenetta avrà luogo tra qualche giorno in tutte le filiali di tutte le banche italiane. L’obbligo di prenotare il prelievo di contanti per importi superiori a 2500 euro è reale. Ed ogni riferimento a fatti e Enti, non è puramente casuale

Fonte: http://www.tgcom24.mediaset.it/rubriche ... piri.shtml
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Quando le banche prestano a se stesse

Messaggioda domenico.damico » 17/06/2013, 8:56

QUANDO LE BANCHE PRESTANO A SE STESSE
di Tito Boeri

I sempre più numerosi italiani che, in quanto capifamiglia o imprenditori, si sono visti recentemente negare un prestito dalla loro banca, speriamo saltino a piè pari in questi giorni le pagine di economia dei giornali.

A leggerle con cura rischierebbero un travaso di bile. Gli articoli che costeggiano le quotazioni di Borsa narrano tre vicende apparentemente slegate tra di loro, ma che hanno un comune denominatore: in barba al conclamato merito di credito e al forte incremento delle sofferenze bancarie, le nostre maggiori banche continuano a finanziare chi ha ampiamente dimostrato di saper unicamente accumulare debiti su debiti non mettendoci nulla o quasi di tasca sua. E se trascuriamo l'incompetenza dei nostri banchieri e le loro ambizioni politiche, l'unica spiegazione che è possibile dare per questo comportamento è che le nostre banche prestano solo alle società di cui sono azioniste.

La prima vicenda è quella che vede Banca Intesa e Unicredit offrire il loro sostegno a Marco Tronchetti Provera nella sua contesa per mantenere il controllo di Pirelli, società di cui è attualmente il monarca assoluto (abbinando la carica di Presidente a quella di Amministratore delegato) pur detenendo meno del 5 per cento del capitale, grazie al solito gioco di scatole cinesi. Tronchetti Provera in questi anni non ha certo dato grande esempio delle sue capacità manageriali, producendo debiti a mezzo di debiti sia con l'operazione Telecom che con gli immobili di Pirelli Real Estate, ora Prelios. Nonostante questo, coi suoi 61.000 euro al giorno, continua a essere uno dei manager più pagati in Italia. Per evitargli la fine degli esodati, Banca Intesa e Unicredit hanno finanziato in questi giorni un'Opa di 80 milioni di euro sulla Camfin, la holding di 15 dipendenti immediatamente a monte di Pirelli, acquisendo quote nelle altre società della piramide per un investimento complessivo non lontano dai 250 milioni di euro. L'operazione ha portato all'uscita di scena dei sociantagonisti di Tronchetti Provera, i Malacalza, che hanno venduto le loro quote. Diabolico soprattutto il perseverare di Banca Intesa che oggi è disposta a finanziare un oneroso leveraged buyout del gruppo per tenere Tronchetti Provera in sella, dopo averlo già salvato in occasione della sua uscita dalla disastrosa operazione in Telecom.

La seconda vicenda è quella del presunto risanamento ... di Risanamento, società immobiliare quotata in Borsa. Banca Intesa, Unicredit, Banco Popolare, Mps e Bpm, intervenuti per evitare che la società portasse i libri in tribunale, hanno dapprima concesso a chi aveva portato la società sull'orlo del fallimento, Luigi Zunino, il diritto di poter esercitare un'opzione per riprendersi il controllo di Risanamento. Era stato del resto proprio grazie a Banca Intesa, Banco Popolare e Unicredit, che Zunino aveva potuto gestire un impero (coinvolto in diverse vicende giudiziarie) e accumulare debiti per 3,5 miliardi di euro mettendo di tasca propria e di sua moglie solo 421.000 euro. Oggi addirittura le banche sarebbero disposte a finanziare un'Opa di Zunino su Risanamento, che gli permetterebbe di riprendere il controllo della società ancora prima e a costi molto più contenuti che esercitando l'opzione. È una vicenda che ricorda il rientro vent'anni fa di un altro discusso immobiliarista, Salvatore Ligresti, alla guida di Premafin, grazie a un aumento di capitale sostenuto da Mediobanca. Sappiamo poi com'è andata a finire. Anche in questo caso, dunque, la storia si ripete. E i precedentisono tutt'altro che incoraggianti.

La terza vicenda è quella che vede un pool di banche creditrici (Intesa, Unicredit, Ubi, Bpm e Mediobanca) impegnate a sostenere l'aumento di capitale di Rcs MediaGroup, gruppo editoriale che ha accumulato un miliardo di debiti negli ultimi 10 anni e che era a un passo dal portare i libri in tribunale. Trattandosi del gruppo che pubblica il maggiore concorrente di questo giornale, mi astengo da un giudizio di merito sul piano. C'è comunque una postilla molto eloquente sul trattamento di favore riservato dalle nostre banche ai soliti noti. Banca Intesa ha deciso non solo di partecipare all'aumento di capitale per una quota superiore a quella che le spetta, ma anche di remunerare i membri del patto di sindacato alla guida di Rcs che le cederanno i loro diritti di opzione, quando il valore di questi diritti inoptati dovrebbe tendere rapidamente a zero. Chissà cosa ne pensano gli azionisti di Intesa di questo regalo.

La ragione per cui le nostre banche si dissanguano per partecipare a imprese che sono fonti di sicure perdite è che vogliono rimandare la pulizia dei loro bilanci. Essendo al contempo azioniste e creditrici di queste società, hanno tutto l'interesse a tenerle in vita. Quando una banca interviene in un'impresa sia con capitale che con credito si instaura un conflitto di interessi e una distorsione a favore di questa impresa. Perché se l'impresa di cui la banca è proprietaria o ha una quota di minoranza perde, la banca perde due volte. Perde in termini di sofferenza e perde in termini di mancati dividendi. E quindi la banca stessa farà di tutto per evitare che ciò accada, concedendo spesso credito quasi illimitato alle imprese di cui è proprietaria.

Il credit crunch che stiamo vivendo rende questo sistema insostenibile perché tiene in vita moltiplicatori di debito e impedisce di fornire linfa vitale a chi oggi potrebbe creare lavoro e valore. Sarebbe bello se il "decreto del fare" contenesse una semplice norma che vieti al sistema bancario la partecipazione in società industriali e in servizi di pubblica utilità e che promuova la cessione di questi crediti incagliati a chi ha meno conflitti di interesse e, a differenza delle banche, se ne intende di ristrutturazioni. Bene che il sistema bancario si specializzi nell'intermediazione finanziaria e nel credito, dato che è proprio il core business di una banca la concessione di credito. Sono misure a costo zero per le casse dello Stato che libererebbero risorse fondamentali per il nostro sistema produttivo. Ma non troviamo alcuna traccia di queste misure negli 80 provvedimenti varati due giorni fa dal Consiglio dei ministri.

Ci sono tante cose, come al solito senza priorità, da fare, ma non fermeranno certo il declino. Mentre il movimento 5Stelle, che ha il merito di avere contribuito a denunciare i conflitti di interesse che paralizzano il nostro sistema finanziario, è anch'esso impegnato in una lotta di potere. Al posto delle parti correlate, si confronta con partiti collegati verso cui singoli o interi gruppi di parlamentari possono migrare col proprio seggio e diaria, ma la sostanza non cambia. Di piani industriali per il rilancio di un progetto e soprattutto di un Paese, di cose da imporre nell'agenda politica sfruttando il proprio peso parlamentare proprio non c'è traccia. La lotta per il potere, fine a se stesso, deve essere tremendamente più avvincente anche per loro.

*larepubblica

http://www.vivicentro.it/tutte-le-categ ... boeri.html
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Il dibattito nel Regno Unito...

Messaggioda domenico.damico » 10/07/2013, 17:29

Da tempo nel Regno Unito si è sviluppato un dibattito molto acceso sul debito e sulla sua cancellazione.

Ora si parla chiaramente anche di una sua riforma radicale, anche grazie all'azione di movimenti simili al nostro - come positivemoney - che provano a fare informazione.


The banking revolution that would wipe out Britain's debts

How about something truly radical – the complete dismemberment of the banking system as we know it and its replacement with what is known as 100pc reserve banking?

Banking reform has been back in the headlines over the past week, with calls from a parliamentary committee for consideration to be given to more radical options – including the break-up of the Royal Bank of Scotland – and a scathing attack by MPs on Dame Clara Furse’s fitness to serve on the Bank of England’s new financial stability committee.

The concern, it seems, with Dame Clara, a former chief executive of the stock exchange, is that she is too pro-finance to be charged with its oversight.

We are now nearly six years into the banking crisis, yet policymakers are still flailing around in the undergrowth in the search for explanations and solutions, with much of the debate still unconstructively mired in blame and recrimination.

The only thing everyone agrees on – from bankers to bank bashers – is that the reform agenda as it stands is far from satisfactory. In the sense that the thrust of banking reform to date has been essentially to return the system to the way it was, with a little more discipline and transparency than before, then I suppose that breaking up RBS into a “good” and a “bad” bank is indeed a radical approach.

Yet as an idea, it’s certainly nothing new. The break-up route is a relatively well established way of dealing with a bust bank which is struggling to fulfil its economic purpose of credit creation, and was aggressively advocated by Sir Mervyn King, the outgoing Governor of the Bank of England, right back at the start of the banking crisis.

That it should now be back on the table after all this time demonstrates how little progress has been made.

So how about something truly radical – the complete dismemberment of the banking system as we know it and its replacement with what is known as 100pc reserve banking?

This is not as ludicrous a suggestion as is sometimes made out. What’s more, to describe it as radical may be a bit of a misnomer. Actually, 100pc reserve banking is a distinctly “conservative” approach to the problem, for its primary purpose is to make finance as low risk as possible.

Nor is it the completely unrealistic, fringe idea sometimes supposed, having been treated very seriously by President Franklin D Roosevelt during the last great banking crisis in the 1930s, when it was quite widely supported by some of the leading economic thinkers of the time.

In the end, the concept was shelved, but the mere threat of it helped FDR push through a banking crackdown that high finance would otherwise have regarded as completely unacceptable. Given the choice, even Glass-Steagall seemed preferable to the so-called “Chicago Plan”, named after the two Chicago-based economists, Henry Simons and Irving Fisher, who devised and articulated it.

The idea has been given new legs by the outbreak of our own 21st century banking crisis, and it is again fast developing something of a cult following. Research by Jaromir Benes and Michael Kumhof of the International Monetary Fund has found support for all four of the big claims made by Fisher of 100pc reserve banking – better control of the credit cycle, complete elimination of bank runs and a dramatic reduction of both public and private debt.

To understand how such a system would work, you have to go back to first principles. By extending credit, bankers create money. Few of them admit to this dynamic, and certainly, for the individual banker operating at the coal face of credit allocation, it doesn’t look that way. Every time a banker makes a loan, he must fund it with deposits and capital. Where’s the money creation in that?

Well, here’s how it works. Say the banker raises £1m in deposits to make a loan of £1m. The deposits are a liability which the bank is duty bound to honour. Yet the loan is essentially new money which will end up getting deposited somewhere else in the banking system, or sometimes even back with the loan originator, thereby giving the banking system new deposits to make new loans.

The only limits on this process of money creation are the banker’s instinctive fear of making a bad loan that will lead to a loss, and the fraction of deposits held as liquidity against the possibility that depositors suddenly want their money back – hence the term “fractional reserve banking”.

During the credit bubble of the 2000s, liquidity buffers were allowed to fall to dangerously low levels, with the result that when confidence collapsed, many banks had insufficient reserves to meet demand from depositors for their money back. With the panic soon going global, there followed the biggest banking crisis in history.

It is at this stage of the credit cycle that the process of money creation goes violently into reverse. As the bank shrinks its balance sheet by calling in loans, it destroys deposits with the same vigour it created them on the way up. We are still in this stage of the cycle, forcing central banks to compensate for the shrinking money supply by printing their own new money – so-called quantitative easing. Without this offset, the economic textbooks tell us, there would be a depression.

In a system of 100pc reserve banking, none of these problems arises. As the term implies, all deposits are held on reserve, or in cash. The deposit bank is thereby deprived of its money creating privileges, but there is no risk of a run. Credit is instead provided by intermediaries that compete for these deposits and marry them directly with borrowers.

Simple. The credit cycle is abolished, and many of the things that so much concern regulators today – capital and liquidity requirements, risk weighting, how to get rid of the too-big-to-fail problem – would cease to be an issue.

What’s more, there would be no need for deposit insurance or oversight, beyond a framework for simple fraud prevention. Credit banks could be allowed to fail without risk of wider systemic damage.

Under the original Chicago plan, the transition from the current to the new system would also allow the Government to cancel its debts, though obviously at the current level of spending, these debts could quickly re-accumulate.

When something looks too good to be true, it generally is. One of the most obvious drawbacks is that there would plainly be less credit and less leverage in such a system. Indeed, to the extent that credit existed, it would look much more like high-risk equity. For all the social and economic scarring the credit cycle can inflict, it is also a key part of the creative destruction of capitalism.

Without it, you might have a more stable economy, but it is not clear that you would have as much innovation, entrepreneurialism, business creation and long-term economic growth.

The biggest problem of all with 100pc reserve banking is that of transition. Getting from here to there would be a truly revolutionary and potentially highly destabilising process, so much so that it is hard to think of any advanced economy embarking on it.

Then again, we are not through this present banking crisis yet by any means, and already, many things that were once thought fanciful are now part of our every day language. Lord Turner, former chairman of the Financial Services Authority, is devoting a whole chapter in his forthcoming book on the crisis to the idea of 100pc reserve banking.

His own preference is for a kind of halfway house, where required reserves are bigger but there remains the capacity for money creation. This might seem something of a cop-out, but it is certainly roughly where we are in the policy debate.

The only trouble is that it has quite severe pro-cyclical consequences, for a bank required to hold more capital and reserves is even less likely to want to restart credit creation. Hey ho.


Fonte: http://www.telegraph.co.uk/finance/comm ... debts.html
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Re: Banche

Messaggioda domenico.damico » 10/07/2013, 17:32

Il commento all'articolo di positive money:

http://www.positivemoney.org/2013/06/th ... ins-debts/
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