Banche

Questa sezione accoglie discussioni e segnalazioni su articoli usciti dai vari mezzi di informazione

Il rischio sistemico sono le banche?

Messaggioda domenico.damico » 15/11/2013, 15:51

Le banche rappresentano un rischio sistemico?

Unione Europea condizione necessaria per stabilizzazione del sistema bancario. Però le banche europee del Nord non ci stanno. Malgrado una situazione pazzesca in merito ad esposizione al rischio finanziario: titoli illiquidi, derivati, leva finanziaria.
Che l’Unione Europea sia ormai solo un’istituzione di comodo per qualcuno è un dato di fatto. Non voglio tornare sul discorso solito dove chiedo che vengano rinegoziati i patti (a partire dal Fiscal Compact, non scordiamocelo mai). Voglio per un attimo focalizzarmi su quella che diventerà probabilmente la grande problematica dei prossimi mesi: l’Unione Bancaria.
Ormai sembra chiaro che il modello “Cipro”, che doveva essere un episodio isolato, rischia di essere invece un “caso scuola” da prendere come modello per eventuali crisi bancarie all’interno dell’UE.
Una vera Unione Bancaria aiuterebbe alla grande la stabilizzazione del sistema. Daniel Gros, economista tedesco, attualmente direttore del Centre for European Policy Studies (CEPS), dice:
(…) la rinazionalizzazione del sistema bancario può rappresentare una forza stabilizzatrice. Non è una proposta teorica. I risparmiatori italiani per esempio possiedono un volume significativo di asset stranieri (fra cui bond tedeschi). E gli investitori stranieri detengono una quota ragguardevole di buoni del tesoro italiano. (…) Con una rinazionalizzazione totale, gli investitori italiani venderebbero i loro asset stranieri per acquistare titoli italiani e questo proteggerebbe l’Italia dagli shock finanziari esterni e diminuirebbe il peso dei tassi di interesse. (…). Inoltre, se tutti gli italiani sostenessero il debito pubblico, qualsiasi aumento del premio di rischio sarebbe meno gravoso. Anche se il premio di rischio raddoppiasse a 500 punti base, i costi del debito dello Stato aumenterebbero, ma almeno i soldi andrebbero a investitori italiani (l’aumento di reddito potrebbe essere tassato). (…) Lo scenario opposto è l’integrazione. Un’unione bancaria rilancerebbe e stabilizzerebbe il prestito transfrontaliero (…) Purtroppo è improbabile che un’unione bancaria si concretizzi in tempi brevi. Gran parte dei governi si oppone a un «meccanismo unico di risoluzione»: significherebbe non poter più controllare le proprie banche. (…) Con questo scenario, l’integrazione potrebbe prendere la forma di una «colonizzazione» sotto la quale le banche dei Paesi forti approfitterebbero dei costi più bassi del capitale per rilevare le banche dei Paesi più deboli. Persino nell’eventualità che la colonizzazione non incontrasse resistenze, non porterebbe a un sistema bancario molto efficiente. (Source)

Quindi sulla carta l’Unione Bancaria porterebbe stabilità al sistema, ma nello stesso tempo si andrebbero a ledere degli interessi di certe lobby di potere… E poi certe nazioni e certe banche non riuscirebbero più a controllare direttamente o indirettamente le banche dei paesi più deboli (colonizzazione). Beh, chiaro manifesto di come Germania & Co andrebbero a controllare indirettamente la nostra economia.
Pensateci. Se il colonialismo bancario prendesse piede, e quindi la Germania assumesse il controllo diretto (principale azionista) o indiretto (imporre certi comportamenti) delle nostre banche, significherebbe perdere la libertà economica e diventare delle succursali del sistema bancario teutonico.
Ma la cosa curiosa poi, è che le banche tedesche sono da sempre quelle con più leva finanziaria (assieme a quelle francesi) e che quindi rappresentano il rischio sistemico più elevato.
Il che rende il tutto CURIOSAMENTE incoerente.
Ma se arriva l’Unione Bancaria, sarà davvero un accordo dove gli istituti europei (tutti) avranno le stesse regole oppure…ci sarà ancora un certo privilegio o protezionismo per alcune primedonne? In altri termini, le banche del Nord Europa, le più esposte a derivati e leva finanziaria , e quindi sistemicamente più pericolose, saranno ancora privilegiate nei confronti di quelle banche commerciali, soprattutto del Sud Europa, che oggi hanno grossi problemi di sofferenze e quindi più legate al “mondo commerciale”?
Non vi racconto balle. Guardate questa slide che ho creato. Troverete l’elenco delle banche europee con maggiore leva finanziaria. Per aiutarvi troverete anche la nazione di fianco la nome. E poi ditemi che ne pensate. (troverete anche banche di piccole dimensioni. Le banche che non sono con l’Euro sono in corsivo)


Per completare il quadro, posso ancora dirvi che Deutsche Bank detiene 38 miliardi di euro di titoli illiquidi, ovvero il 94% del patrimonio netto tangibile di tutto l’istituto. Bnp Paribas invece ne detiene per un terzo di tutto il capitale (27 miliardi).
Credo sia superfluo dirvi cosa potrebbe succedere se, un giorno, Db dovesse comunicare al mercato che quel portafoglio titoli fosse invece composto da carta straccia inesigibile, anche solo parzialmente (30% è più che sufficiente).
Ma non basta. Se poi parliamo di derivati, di cui ho parlato recentemente, le cose non vanno certo meglio. DB ne detiene per il 38,6% dell’attivo. E UDITE UDITE, il 99% degli stessi ha natura speculativa (Source) :
Discorsi simili per Credit Agricole e Bnp Paribas.

Sommate questi ingredienti:
a) TITOLI ILLIQUIDI
b) DERIVATI
c) LEVA FINANZIARIA
Ne otterrete un bel mix esplosivo, una mina sistemica che deve preoccupare.
Permettetemi un’ultima considerazione: ma queste banche “da incubo”…vorrebbero comandarci?

[Post uscito in contemporanea su I&M]

Fonte: http://www.pianoinclinato.it/le-banche- ... sistemico/
Allegati
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Re: Banche

Messaggioda Andrea Trivelli » 23/12/2013, 12:53

Salve,
cosa si intende esattamente nell'articolo per "Leva Finanziaria"? Il moltiplicatore bancario o cos'altro?
Così a naso mi verrebbe da dire che le banche con valore di LF e capitalizzazione molto alto sono quelle più a rischio, ma forse necessito di qualche spiegazione in più di se e come siano correlate queste due voci.
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Re: Banche

Messaggioda Vito Zuccato » 15/01/2014, 21:08

Il concetto di «leva» in economia assume significati diversi a seconda del settore o dell'argomento specifico.

Per «leva finanziaria» nel caso di questo articolo si intende il rapporto tra indebitamento netto e patrimonio netto di un soggetto economico, come nel caso soprattutto delle società finanziarie (banche, intermediari e assicurazioni), oppure il rapporto tra il totale delle fonti di finanziamento e il patrimonio netto.

Il «patrimonio netto» può essere sostituito anche con il «capitale proprio»; per «totale delle fonti di finanziamento» si intende la somma di capitale di terzi e capitale proprio.

Le banche più a rischio, come tutte le altre tipologie aziendali, sono quelle con la leva maggiore, cioè quelle che hanno il totale delle loro fonti di finanziamento o il capitale di terzi (o indebitamento) più grande relativamente al capitale proprio o al patrimonio netto o al Tier 1 Capital o al Core Tier 1 Capital o al patrimonio di vigilanza (cinque termini sostanzialmente intercambiabili, nonostante le differenze concettuali e di calcolo).



Il cosiddetto moltiplicatore bancario, considerato anche come il reciproco del rapporto di riserva frazionaria, viene spesso erroneamente confuso con il rapporto di leva finanziaria sopra esposto.
Infatti il moltiplicatore bancario è il rapporto tra il capitale di terzi (correntisti, obbligazionisti e altri prestatori) del sistema delle banche commerciali e le riserve in contanti dello stesso (libere e obbligatorie, tenute presso qualsiasi soggetto per conto della singola banca commerciale).
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Re: Banche

Messaggioda Andrea Trivelli » 19/02/2014, 0:32

Grazie della spiegazione.
Il valore di Leva Finanziaria quindi esprime già un rapporto tra indebitamento e capitale: curioso vedere nelle prime posizioni, tra banche Greche e Portoghesi, anche Credit Agricole e Deutsche Bank...
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LA LOBBY PIU' POTENTE DEL MONDO

Messaggioda domenico.damico » 09/04/2014, 10:20

Da questo studio del Corporate Europe Observatory:

http://corporateeurope.org/financial-lo ... cial-lobby
http://corporateeurope.org/sites/defaul ... report.pdf

Questo articolo di Andrea Baranes sul Manifesto di oggi:

http://ilmanifesto.it/la-lobby-piu-potente-del-mondo/


La lobby più potente del mondo

— Andrea Baranes, 8.4.2014

Poteri . L’esercito degli Stakeholder, 60 a 1 per la finanza
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Sono 1.700 addetti per un fat­tu­rato di oltre 120 milioni di euro l’anno. Non par­liamo di una mul­ti­na­zio­nale, ma dell’esercito di lob­bi­sti che affolla le isti­tu­zioni euro­pee a Bru­xel­les e della quan­tità di denaro for­nita ogni anno da ban­che e altre imprese del set­tore per soste­nerne le atti­vità. Sono alcuni dei dati rias­sunti nel rap­porto pub­bli­cato il 9 aprile da Cor­po­rate Europe Obser­va­tory — Ceo e inti­to­lato “la potenza di fuoco della lobby finan­zia­ria”, che siamo in grado di anticipare.

Se è banale, se non inge­nuo, sor­pren­dersi di fronte alla noti­zia di un mondo finan­zia­rio che eser­cita una for­tis­sima atti­vità di lobby sulle isti­tu­zioni euro­pee, ben diverso è leg­gere i dati e le cifre in gioco. Ogni regola, Diret­tiva, o ricerca passi da Par­la­mento, Com­mis­sione, Bce o qual­si­vo­glia altra isti­tu­zione euro­pea è sog­getta a que­sta potenza di fuoco. «Pro­ba­bil­mente la lobby più potente del mondo»; parole non di un qual­che gruppo di com­plot­tari, ma del Com­mis­sa­rio euro­peo Algir­das Semeta.

Così come non sono gruppi di com­plot­tari ma decine di par­la­men­tari euro­pei di diversi par­titi e schie­ra­menti che già a giu­gno 2010 sot­to­scri­vono un appello nel quale testual­mente si segnala che «pos­siamo vedere ogni giorno la pres­sione eser­ci­tata dall’industria ban­ca­ria e finan­zia­ria per influen­zare le leggi che li gover­nano. Non c’è nulla di straor­di­na­rio se que­ste imprese fanno cono­scere il pro­prio punto di vista e hanno discus­sioni con i legi­sla­tori. Ma ci sem­bra che l’asimmetria tra il potere di que­sta atti­vità di lobby e la man­canza di una espe­rienza oppo­sta ponga un peri­colo per la democrazia».

Que­sto peri­colo diventa pur­troppo evi­dente scor­rendo il rap­porto di Ceo. In sede euro­pea il mondo finan­zia­rio supera la spesa in atti­vità di lobby di ogni altro gruppo di inte­resse per un fat­tore di 50 a 1.

Per fare un esem­pio tra i molti pos­si­bili, una recente discus­sione al Par­la­mento euro­peo su una Diret­tiva riguar­dante hedge fund e pri­vate equity, 900 emen­da­menti sui 1.700 totali sono stati redatti non da par­la­men­tari ma da lob­bi­sti del mondo finanziario.

Al Par­la­mento euro­peo sono attivi gruppi come il Euro­pean Par­lia­mentary Finan­cial Ser­vi­ces Forum (EPFSF) che com­prende mem­bri del Par­la­mento e lob­bi­sti finan­ziari per «pro­muo­vere un dia­logo tra il Par­la­mento euro­peo e l’industria dei ser­vizi finanziari».

Que­sto dia­logo com­prende ad esem­pio inviti ai par­la­men­tari per «semi­nari edu­ca­tivi sul tra­ding dei deri­vati». Il forum è finan­ziato prin­ci­pal­mente dai suoi 52 mem­bri, tra i quali JP Mor­gan, Gold­man Sachs Inter­na­tio­nal, Deu­tsche Bank, Citi­group e altri. E’ pos­si­bile saperlo per­ché ad oggi è l’unico gruppo di rilievo in ambito finan­zia­rio a rive­lare il nome dei pro­pri mem­bri. Il “Regi­stro per la Tra­spa­renza” delle atti­vità di lobby, isti­tuito in Ue nel 2008 per pro­vare a fare chia­rezza, è infatti uni­ca­mente volon­ta­rio, lasciando a imprese e lob­bi­sti la scelta di regi­strarsi o meno. Sta di fatto che un sin­golo par­la­men­tare euro­peo rivela di avere rice­vuto qual­cosa come 142 inviti in due anni dal mondo finan­zia­rio per “eventi”, “semi­nari” o simili.

Secondo il rap­porto, dopo lo scop­pio della crisi la lobby finan­zia­ria ha par­te­ci­pato ad almeno 1.900 incon­tri e con­sul­ta­zioni con la Com­mis­sione e le altre isti­tu­zioni euro­pee. Un numero da met­tere in rela­zione con il cen­ti­naio di incon­tri che coin­vol­ge­vano reti e orga­niz­za­zioni della società civile e con gli 84 con il mondo sindacale.

Ana­lo­ga­mente, il dato (pru­den­ziale) di 120 milioni di euro l’anno speso per le lobby finan­zia­rie è da met­tere a con­fronto con una dispo­ni­bi­lità intorno ai 2 milioni per Ong, società civile e sin­da­cati. Un rap­porto di 60 a 1 che fa impal­li­dire i pur evi­denti squi­li­bri pre­senti in altri set­tori. Ad esem­pio per quanto riguarda l’agro-alimentare, la stima è di 50 milioni di euro dell’industria a fronte di 12 milioni per asso­cia­zioni di con­su­ma­tori, Ong e sindacati.

Lo squi­li­brio è se pos­si­bile ancora più impres­sio­nante quando si va a vedere la com­po­si­zione dei “gruppi di esperti” ovvero gli organi con­sul­tivi uffi­cial­mente costi­tuiti da Com­mis­sione, Bce o agen­zie di super­vi­sione finan­zia­ria per rice­vere con­si­gli e pareri su aspetti e nor­ma­tive spe­ci­fi­che. In molti casi la rap­pre­sen­tanza supera abbon­dan­te­mente il limite della decenza, se non quello del ridi­colo. Nel De Larosière Group on finan­cial super­vi­sion in the Euro­pean Union 62 mem­bri dal mondo finan­zia­rio, 0 da società civile, sin­da­cati o altri gruppi di inte­resse; sulla Mifid, diret­tiva fon­da­men­tale sul fun­zio­na­mento dei mer­cati finan­ziari euro­pei, 77 con­tro 5; nel gruppo di esperti sui Deri­vati, 86 esperti del mondo finan­zia­rio, 0 tra Ong, con­su­ma­tori o sin­da­cati. Secondo il rap­porto, in totale oltre il 70% dei con­su­lenti e degli esperti nei gruppi della Com­mis­sione ha legami diretti con il mondo finan­zia­rio, a fronte di uno 0,8% delle Ong e del 0,5% dei sindacati.

Se pos­si­bile va ancora peg­gio alla Bce, che ha pro­mosso degli Sta­ke­holder Groups. La parola sta­ke­hol­der viene soli­ta­mente tra­dotta in ita­liano con “por­ta­tore di inte­resse” e dovrebbe indi­care chiun­que ha appunto un qual­che inte­resse in una deter­mi­nata impresa o isti­tu­zione. Il gruppo presso la Bce pre­ve­deva 95 mem­bri pro­ve­nienti dal set­tore finan­zia­rio, e 0 (zero!) tra orga­niz­za­zioni della società civile, con­su­ma­tori, sin­da­cati. Veniamo così a sco­prire che le poli­ti­che della Banca cen­trale euro­pea non hanno evi­den­te­mente nes­sun inte­resse per cit­ta­dini e lavo­ra­tori europei.

I risul­tati? Qual­siasi pro­po­sta di rego­la­men­ta­zione va avanti nel migliore dei casi con il freno a mano tirato, e le legi­sla­zioni in mate­ria finan­zia­ria ven­gono diluite fino a ren­derle spesso total­mente inef­fi­caci. Il mondo finan­zia­rio in mas­sima parte respon­sa­bile dell’attuale crisi con­ti­nua a lavo­rare indi­stur­bato, men­tre al cul­mine del para­dosso sono Stati e cit­ta­dini che la stessa crisi l’hanno subita a ritro­varsi con il cerino in mano e a dovere accet­tare sacri­fici e austerità.

La buro­cra­zia euro­pea pro­cede a ritmi impres­sio­nanti quando si tratta di imporre vin­coli e con­trolli, se non una vera e pro­pria inge­renza, sugli Stati sovrani, i loro conti eco­no­mici e le loro poli­ti­che. Ma dall’altra parte la bozza di Diret­tiva sulla tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie rimane impan­ta­nata tra infi­nite discus­sioni e veti incro­ciati. La sepa­ra­zione tra ban­che com­mer­ciali e ban­che di inve­sti­mento, che tutti gli studi rico­no­scono come un passo essen­ziale per evi­tare il ripe­tersi di disa­stri come quello degli ultimi anni, è ancora un vago pro­getto. A set­tem­bre 2013 il Com­mis­sa­rio euro­peo Bar­nier annun­cia tran­quil­la­mente in un comu­ni­cato stampa che «dob­biamo ora affron­tare i rischi posti dal sistema ban­ca­rio ombra». Men­tre gli Stati sono sot­to­po­sti a un con­trollo stret­tis­simo, per il gigan­te­sco sistema ban­ca­rio ombra che si muove al di là di qual­siasi regola o con­trollo, a cin­que anni dal fal­li­mento della Leh­man Bro­thers e oltre sei dallo scop­pio della crisi, la Com­mis­sione, bontà sua, dichiara che è tempo di mostrare un qual­che interesse.

Se le isti­tu­zioni euro­pee aves­sero dimo­strato verso il gigan­te­sco casinò finan­zia­rio che ci ha tra­sci­nato nella crisi solo una fra­zione dell’impegno messo per imporre sacri­fici e auste­rità a chi ne ha pagato le con­se­guenze, pro­ba­bil­mente oggi i cit­ta­dini euro­pei sta­reb­bero leg­ger­mente meglio. In una recente inter­vi­sta, Luciano Gal­lino ricorda che «il para­dosso è che la crisi, fino all’inizio del 2010, è stata una crisi delle ban­che. Poi è ini­ziata una straor­di­na­ria ope­ra­zione di mar­ke­ting: si è fatta pas­sare l’idea che il pro­blema fos­sero i debiti pub­blici degli stati». Da oggi riu­sciamo a capire un po’ meglio con quali mezzi e risorse tale straor­di­na­ria ope­ra­zione di mar­ke­ting sia stata e con­ti­nui ad essere rea­liz­zata. (Il rap­porto inte­grale è dispo­ni­bile su: http://​cor​po​ra​teeu​rope​.org)
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La pressione lobbistica in Usa

Messaggioda domenico.damico » 09/04/2014, 23:08

E questi invece sono i dati negli Stati Uniti;
probabilmente molto sottovalutati, perché solo quelli ufficiali e fatturabili.

La vera pressione è di qualche grado superiore.

http://www.opensecrets.org/lobby/indus.php?id=F
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SIENA E MPS

Messaggioda domenico.damico » 28/04/2014, 13:19

Sulla vicenda MPS e sulle indagini della magistratura.

http://www.ilsussidiario.net/News/Econo ... ie/494565/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04 ... ca/963319/

Dove troviamo tutto: la banca più antica del mondo e il rapporto con gli affari, la politica, il territorio etc.
La banca come centrale di gestion e controllo: esempio eccellente da estendere a ogni latitudine e magnitudine
(nel senso che altrove gli affari sono mondiali e imperialistici).
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Re: Banche

Messaggioda domenico.damico » 15/05/2014, 8:53

Ancora sull'articolo della Bank of England e sui commenti di David Graeber.
Il dibattito sembra prendere piede.

FONTE: http://www.controinformazione.info/lond ... #more-4601

Londra: e smettetela di dire che non ci sono più soldi

Spiacenti, non ci sono più soldi. E quindi: rigore, tagli alla spesa pubblica, spending review. Per colpire, solo e sempre, il settore pubblico: il welfare, la spesa vitale per i cittadini, da cui dipende strettamente la salute dell’economia privata di aziende e famiglie. Stando a politici, tecnocrati e banchieri, è come se il denaro «fosse una risorsa limitata, alla stregua della bauxite o del petrolio».

Errore: il denaro è inesauribile, illimitato. Perché può essere creato dal nulla, in qualsiasi momento, a una sola condizione: che venga accettato come valore di scambio, per acquistare beni e servizi e pagare le tasse. Quella che a prima vista può sembrare la scoperta dell’acqua calda, secondo David Graeber del “Guardian” è un’esternazione epocale: perché proviene dalla Banca d’Inghilterra, che ammette ufficialmente che la quantità di denaro circolante – quella in nostro possesso, e a disposizione dei nostri Stati – non dipende assolutamente da un ammontare frutto di risparmi, ma da una semplice decisione politica, attuata dalle banche centrali e dai super-banchieri che le gestiscono.


Il sistema continua dirci che «semplicemente non c’è abbastanza denaro per finanziare lo stato sociale», e preferisce «parlare dell’immoralità del Herman Van Rompuy, custode del rigore Uedebito pubblico o di una spesa pubblica che “svuota le tasche” al settore privato»? Tutto falso. «Il sistema della riserva frazionaria permette alle banche di prestare somme considerevolmente superiori a quelle che detengono nelle riserve». E, se i risparmi dei correntisti non bastano, «le banche possono farsi prestare altro denaro dalla banca centrale», la quale «può stampare tutto il denaro che vuole», riassume Graeber, citando il documento intitolato “La creazione della moneta nell’economia moderna”, redatto da tre economisti del dipartimento di analisi monetaria della Bank of England. «Non c’è davvero alcun limite alla quantità di denaro che una banca può creare, a patto che trovi persone che vogliano prendere in prestito quel denaro. Non rischieranno mai di finire senza soldi, per il semplice motivo che, in genere, i loro mutuatari non prenderanno mai il denaro per metterlo sotto al materasso: alla fine, tutto il denaro che una banca presta tornerà indietro in qualche modo in qualche altra banca».
Le banche, sottolineano gli analisti della banca centrale britannica, non ricevono i risparmi dai privati per poi successivamente prestarli. Al contrario: «Sono i prestiti delle banche a creare i depositi», attraverso la banca centrale. «E la moneta della banca centrale non è nemmeno “moltiplicata” sotto forma di prestiti e depositi», perché viene semplicemente creata dal nulla. «Nel caso le banche avessero bisogno di prelevare denaro dalla banca centrale – scrive Graeber – possono prenderne in prestito quanto ne vogliono; tutto ciò che fa quest’ultima è determinare il tasso di interesse, il costo del denaro, non la sua quantità». Per questo, «non c’è alcuna spesa pubblica che “svuoti le tasche” al settore privato. E’ esattamente l’opposto»: è la finanza a chiudere i rubinetti, a costringere Bank of Englandintere nazioni a tirare la cinghia. «Perché, così all’improvviso, la Banca d’Inghilterra ammette tutto ciò?».
Forse, si risponde Graeber, la banca di Stato britannica ha capito che è «un lusso che non si può più permettere» il mantenere in vita «la versione “fantasilandia” dell’economia, che si è rivelata così conveniente per i ricchi». Politicamente, secondo il giornalista del “Guardian”, i banchieri centrali inglesi stanno affrontando un rischio enorme: «Immaginate cosa potrebbe succedere se i titolari dei mutui si rendessero conto che il denaro che la banca ha prestato loro non proviene in realtà dai risparmi di una vita di qualche pensionato parsimonioso, ma sia invece un qualcosa creato dal nulla da una bacchetta magica in loro possesso, che noi gli abbiamo consegnato». Certo, la Gran Bretagna non è in sofferenza quanto l’Eurozona: la sterlina sovrana consente a Londra di cambiare politica, per esempio di aumentare la spesa pubblica e la protezione dello Stato verso i cittadini. Operazione preclusa ai paesi la cui sovranità finanziaria è stata confiscata dall’euro, i cui gestori ripetono che, semplicemente, “non ci sono più soldi”. Come se il denaro fosse un bene materiale, anziché un valore convenzionale che si può liberamente immettere nel sistema economico.
Se oggi si “scopre” che la fonte del credito non è certo la riserva frazionaria – cioè la percentuale di depositi accantonati per la solvibilità del sistema – a diffidare della libera emissione di moneta furono economisti di destra ma anche di sinistra. Secondo la scuola marxista, l’espansione del credito assicura una forte crescita, che però finisce per provocare crisi di sovrapproduzione o crisi economiche dovute all’insolvenza di molte imprese alla scadenza dei debiti. Più in generale, si teme che la quantità di moneta prestata possa non corrispondere ad una ricchezza reale, e quindi causare inflazione e calo della domanda. Analoghe conclusioni dalla “scuola austriaca” di economia: se si espande il credito oltre il “tesoro” della riserva frazionaria, i prezzi cresceranno molto più in fretta del Pil, generando inflazione. Tesi sostanzialmente smentite dalla storia e dalla realtà di oggi: gli Usa uscirono dalla Grande Depressione proprio espandendo il credito mediante creazione di moneta, e oggi il dramma dell’Eurozona si chiama deflazione: insufficiente quantità di denaro a disposizione delle imprese David Graebere delle famiglie, a causa dei tagli imposti agli Stati che, limitando la spesa pubblica (in fase di recessione economica) condannano il sistema all’asfissia.
Fin dall’inizio della recessione, scrive il “Guardian”, le banche centrali degli Usa e della Gran Bretagna hanno ridotto quasi a zero il costo del denaro: attraverso il “quantitative easing”, cioè l’alleggerimento quantitativo, «hanno pompato quanto più denaro potevano nelle banche, senza produrre alcun effetto inflattivo». Il significato di tutto questo? «Il tetto dell’ammontare della moneta in circolazione non è dato da quanto le banche centrali siano disposte a prestare, ma da quanto denaro siano disposti a prendere in prestito governi, aziende, e cittadini ordinari». La questione è politica: «La spesa dei governi ha il ruolo principale in tutto ciò». E lo stesso documento della Bank of England «ammette, leggendolo con attenzione, che alla fine le banche centrali forniscono denaro ai governi». Certo, le banche centrali degli Stati con moneta sovrana – quindi non i paesi dell’Eurozona.
«Storicamente – rileva Graeber – la Banca d’Inghilterra tende a essere un precursore, esternando quelle che possono sembrare posizioni radicali ma che poi finiscono per diventare la nuova ordotossia». E’ come se gli analisti inglesi avesso detto, chiaro e tondo, che bisogna bocciare la Bce e tutte le politiche restrittive dell’Unione Europea. Non è vero che “non ci sono più soldi” per gli Stati. E’ vero il contrario: Bruxelles ha deciso che gli Stati, e i loro cittadini, devono soffrire. Solo degradando le condizioni generali di vita, abolendo diritti sociali e diritti del lavoro, l’élite può sperare di disporre di “sudditi” docili, disposti a tutto per un salario schiavistico. Il paradiso in terra per i monopolisti della moneta ex-sovrana, super-tecnocrati al servizio degli oligarchi planetari, i grandi privatizzatori del nostro futuro.
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Re: Banche

Messaggioda Vito Zuccato » 19/05/2014, 21:36

Ancora una volta sul bollettino della Bank of England...

E qui c'è di mezzo di tutto e di più:
- il raffinato e controcorrente Luciano Gallino che alza la posta e si permette di dire addirittura su un giornale di regime come La Repubblica ciò che fino a un'ora fa per quasi il 100% dell'accademia, del sistema scolastico e del giornalismo è stata la più grande bestemmia mai pronunciata da una manciata di psicolabili nazifascisti "«“complottisti”»": le banche commerciali sono le responsabili della creazione dal nulla di quasi il 100% della massa monetaria esistente, semplicemente tramite creazione di depositi all'atto dell'erogazione di un prestito in moneta scritturale-contabile bancaria;
- un articolo di Martin Wolf sul Financial Times;
- il bollettino di marzo 2014 della Bank of England, ovviamente;
- il Chicago Plan degli anni '30 e la sua recente Rivisitazione a cura dell'FMI.
- la pesante accusa ai politici e alle istituzioni europee di essere o dei venduti o degli incoscienti nell'avvallare il più grande privilegio mai esistito: l'emissione monetaria delle banche commerciali e quindi la decisione e il controllo totali a scopo di lucro su TUTTO ciò che accade nel mondo.

http://www.monetaproprieta.it/phpbb/viewtopic.php?p=2681#p2681

In soldoni: Luciano Gallino e colleghi esteri OGGI non fanno che scrivere ciò che gli attivisti per la riforma monetaria dicono, scrivono e divulgano da decenni, con propri ragionamenti e analisi e citando fonti bancarie e accademiche istituzionali e/o di elevato prestigio.
Meglio tardi che mai, se non addirittura per remare contro.

Oggi c'è pure l'aggravante che a fare i giornalisti economico-finanziari e i blogger negazionisti ci si mettono gli stessi professoroni e gli stessi amministratori e consulenti di fondi speculativi, di finanziarie e di banche di livello mondiale. E in Italia alcuni di questi auto-pennivendoli hanno perfino fondato un partito loro diretta espressione...
Vito Zuccato
 
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I picciotti di Banca d'Italia, Mediolanum e Fininvest

Messaggioda Vito Zuccato » 12/10/2014, 17:33

La solita Fiera dei Paradossi "italiana".
"italiana" è tra virgolette, poiché i soggetti di seguito citati sono residenti all'estero per motivi fiscali, a cominciare dalla ditta bancaria Mediolanum.
Tra creazione illecita e/o illegale di moneta bancaria centrale e commerciale e azionisti evasori fiscali in un sistema fiscale illecito-illegale nonché padroni di partiti politici illegalmente presenti in parlamento o anche nel governo, se non soltanto nel sub-governo, manca soltanto la sentenza sull'evasione fiscale di Mediolanum proprio per la sua presunta esterovestizione in Irlanda.
Il confine tra chi vigila, chi legifera e chi in vari modi delinque è ormai scomparso.
E le allegate dichiarazioni e sentenze sono oltremodo tragicomiche.


Bankitalia, Fininvest deve cedere il 21% di Mediolanum: «Berlusconi ha perso i requisiti di onorabilità»

Fininvest scenderà al di sotto del 10% nel capitale di Mediolanum. Lo ha annunciato questa mattina la stessa holding della famiglia Berlusconi come conseguenza al procedimento relativo all’iscrizione di Mediolanum nell’Albo dei Gruppi bancari e a seguito della sopravvenuta perdita dei requisiti di onorabilità in capo al proprio controllante indiretto Silvio Berlusconi.

È stata la Banca d’Italia, d’intesa con l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni Ivass, a disporre con provvedimento del 7 ottobre (pervenuto ieri) la dismissione della partecipazione in Mediolanum Spa eccedente il 9,9%. L’atto potrà anche avvenire mediante il conferimento in un trust ai fini della successiva alienazione a terzi entro 30 mesi dalla data della sua istituzione. A seguito di tale misura, viene meno l'efficacia del Patto di sindacato tra Fininvest e Fin.Prog. Sapa di Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum.

In ballo azioni pari a circa 21% del capitale azionario
«Il Cda di Fininvest - si legge nella nota della holding - si riunirà per la valutazione e l'esame del suddetto provvedimento e l’adozione delle conseguenti deliberazioni, anche tenuto conto delle caratteristiche e dell'entità della partecipazione in oggetto e della rilevanza di Mediolanum Spa per il mercato, per i suoi clienti e per i suoi azionisti». Il provvedimento riguarda oltre il 20% del capitale della banca. La holding della famiglia Berlusconi ha infatti il 31,1 per cento. Immediata la reazione in Borsa, dove le azioni Mediolanum cedono il 3% a metà seduta (parità per Mediaset). Il mercato si interroga probabilmente su quale destinazione prenderanno le azioni targate Fininvest: in passato, peraltro, lo stesso Ennio Doris aveva detto a più riprese di voler rilevare la quota in mano alla holding.

Mediolanum: proseguiremo la nostra attività
In un comunicato in cui prende atto del provvedimento della Banca d’Italia, la stessa Mediolanum afferma di mantenere e perseguire «la sua stabile e consolidata presenza nel mercato, così come avvenuta e riconosciuta in questi anni, forte della garanzia e della continuativa partecipazione della famiglia Doris, che detiene oltre il 40% delle azioni».
«Mediolanum proseguirà la sua attività nel rispetto delle strategie e dei principi che hanno sempre contraddistinto questo gruppo», si legge ancora tra le righe del comunicato, nel quale si esprime anche «totale solidarietà» a Silvio Berlusconi nella presente circostanza.

Doris disponibile a comprare fino al 10%
Ennio Doris, fondatore di Mediolanum, spera che la quota del 21% circa che Fininvest è costretta a vendere entro 30 mesi rimanga alla famiglia Berlusconi. L'imprenditore è comunque pronto a rilevare parte delle azioni che Fininvest dovrà vendere, rimanendo comunque sotto il 50% del capitale. «Bisogna attendere la decisione che Fininvest prenderà» nel prossimo cda. Intanto la soluzione del trust mi pare giusta. Ad ogni modo spero che la quota che dovrà alienare Fininvest rimanga alla famiglia Berlusconi», ha commentato Doris a Radiocor.

«Se Fininvest dovesse vendere azioni sul mercato - ha aggiunto il banchiere - si creerebbe una fila di gente e in fila ci sarei anche io, nonostante ulteriori azioni non mi servano per gestire la società, avendo il 40% delle azioni». L'imprenditore potrebbe spingersi poco sotto il 50%. «Ho incaricato i miei legali di studiare bene quanto potrei acquistare senza far scattare l'Opa, anche se già detengo il controllo. Non vorrei causare il delisting visto che la quotazione è positiva per un gruppo bancario. Se potrò mi spingerò poco sotto il 50%».


Fonte:
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-10-10/bankitalia-fininvest-deve-scendere-99percento-mediolanum--082326.shtml
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