Di fronte a violenze, omicidi, stragi, scrutiamo increduli i volti dei colpevoli come se fossero animali rari, che nulla hanno a che fare con il genere umano. L'interpretazione è rassicurante. Ma sbagliata. La banalità del male si annida in ognuno di noi e i nostri comportamenti sono condizionati dal contesto molto più di quanto pensiamo. Lo spiega il ricercatore Piero Bocchiaro in "Psicologia del male". Prendete Adolf Eichmann, il nazista che curò le operazioni di trasporto degli ebrei verso i campi di concentramento, uno dei massimi responsabili dell'Olocausto: arrestato nel 1960 a Buenos Aires, fu processato l'anno dopo in Israele. La sua linea di difesa? "Ho obbedito agli ordini". I giudici lo condannarono a morte. Era un uomo terribilmente perverso? A chi lo visitò parve incredibilmente normale. Perché allora si macchiò di crimini così orribili?
Il 7 agosto '61 lo psicologo Stanley Milgram realizzò un esperimento scientifico, reclutando alcune cavie: persone normali di diverso carattere e varia estrazione sociale. Queste, assunto il ruolo di insegnante, avevano il compito di verificare la capacità di apprendimento di un (finto) allievo: gli errori dovevano essere puniti con una (finta) scarica elettrica per ordine di un (finto) psicologo. L'esito fu sorprendente: nessuno dei partecipanti, quando seppe in cosa consisteva l'esperimento, si rifiutò di partecipare. Tutti, ovviamente ignari della finzione, arrivarono a impartire scosse assai alte, la maggior parte proseguì fino alla fine, anche di fronte all'estrema sofferenza dell'allievo. L'obbedienza all'autorità (insieme ad altri aspetti psicologici decisivi, come la sequenzialità dell'azione) prevale sul precetto morale di non fare del male.
Bocchiaro richiama altri casi di laboratorio e spiega ad esempio perché in alcune situazioni tendiamo a non prestare soccorso al prossimo: paradossalmente ci sentiamo deresponsabilizzati quando tanti vedono una persona vittima di violenza. Richiamando fatti di cronaca, il ricercatore prova a spiegare anche che cosa si scatena in un gruppo di persone normali fino a trasformarlo in una banda di teppisti crudeli. L'autore ricorda anche l'esperimento svolto a Stanford, che vide miti studenti, alcuni dichiaratamente pacifisti, diventare carcerieri e prigionieri: fu sospeso dopo sei giorni perché la violenza stava diventando inarrestabile (ricordate i fatti di Abu Ghraib?).
Conclusione: il contesto può trascinare anche persone tranquille a compiere atti violenti o malvagi. Attenzione, però: spiegare certi meccanismi psicologici non significa giustificare i responsabili, perché certi orrori gridano vendetta agli occhi degli uomini e di Dio (e comunque anche negli esperimenti ricordati esiste sempre una minoranza che si oppone). I crimini, insomma, restano crimini e vanno condannati. Ma la psicologia sociale ci aiuta a capire che siamo un impasto di luce e di ombra, di bene e di male, di paradiso e di inferno. E poi che i Cattivi e i Buoni esistono solo nelle favole.
Questo libro diventò per me una sorta di bibbia per comprendere i comportamenti (in)umani e raccomando vigorosamente la sua lettura.